Allevamenti intensivi
Tutto quello che c'è da sapere

Gli allevamenti intensivi rappresentano una realtà complessa e controversa nel panorama dell'agricoltura moderna.
Questo tipo di allevamento è caratterizzato dall'estrema meccanizzazione e industrializzazione dei processi di allevamento tradizionali. L'obiettivo principale è la massimizzazione della produzione di carne, uova e latte, per soddisfare una domanda alimentare in continua crescita; ma questo spesso si traduce in condizioni di vita difficili per gli animali e impatti ambientali significativi.


Come nasce l’idea dell’allevamento intensivo
La pratica dell’allevamento intensivo ha origine quasi per caso nel 1923, con una storia che sembra quasi un racconto di fantasia.
Tutto risale a quando Cecile Long Steel, un'allevatrice statunitense, ricevette per errore un carico di 500 pulcini, dieci volte più di quanto aveva ordinato. Decise di tenerli tutti comunque, e di allevarli in un capannone al chiuso, nutrendoli con mangimi a base di mais e integratori. L'esperimento ebbe successo e ciò segnò l'inizio di quello che oggi conosciamo come l'industria dell’allevamento moderno.


L’allevamento intensivo oggi
In Italia, come in molti altri Paesi, gli allevamenti intensivi sono diventati la norma, soprattutto nelle regioni del Nord, dove si concentrano numerose produzioni note a livello globale. Gli animali, che includono polli, galline ovaiole, mucche, vitelli, pecore e maiali, vivono in spazi ristretti e confinati, spesso in condizioni igieniche precarie e senza accesso alla luce del sole.

Purtroppo, i lati negativi di questo modello produttivo non si limitano a ciò; infatti, è pratica comune, negli allevamenti intensivi, l'uso di ormoni e antibiotici per prevenire malattie e promuovere una crescita rapida degli animali. Ma non solo: gli animali spesso sono anche sottoposti a trattamenti decisamente criticabili, come, ad esempio, la rimozione del becco nel pollame o la selezione genetica, tutte pratiche che possono apparentemente facilitare il lavoro degli allevatori, ma che, in realtà, causano agli animali sofferenze e problemi di salute.
Altro fattore che impatta negativamente sull’allevamento intensivo è la tipologia di alimentazione somministrata agli animali, basata su mais, grano e soia coltivati a loro volta intensivamente, quindi di qualità non elevata; ciò si ripercuote, ovviamente, sulla qualità delle carni degli animali che se ne nutrono.

Dal punto di vista ambientale, gli allevamenti intensivi sono associati a vari rischi, come l'inquinamento delle falde acquifere, dell'acqua di superficie, del terreno e dell'aria. Infatti, la concentrazione di un grande numero di animali in un unico luogo produce una quantità di rifiuti difficile da gestire, con conseguenze negative per l'ambiente circostante.


Le alternative possibili
Fortunatamente esistono delle alternative possibili all’allevamento intensivo.
Una di queste è rappresentata dagli allevamenti estensivi e biologici, che offrono condizioni di vita migliori per gli animali e minori impatti ambientali. Questi sistemi promuovono pratiche di allevamento più tradizionali e rispettose, garantendo spazi più ampi e un'alimentazione naturale agli animali e, di conseguenza, la produzione di carni più sane e genuine per i consumatori.

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